Chi è cresciuto a Palermo, lo sa.

Palermo è una città universale e arbitraria.

Universale perché ogni luogo conduce inevitabilmente a un’esperienza di vita. Arbitraria perché, in un modo o nell’altro, ti pone di fronte a scelte non sempre facili e allora ti ritrovi a fare i conti con te stesso.

Quando Palermo si racconta, percepisci immediatamente quell’odore di vitalità, mista a contrasto e conciliazione.

Chi conosce Palermo sa bene che prima o poi dovrà fare i conti con le storie che questa città ha da raccontare. Solo allora comprendi fino in fondo la fisionomia e il carattere di una realtà che non ti appartiene, ma è tua.

Probabilmente sono queste le sensazioni che hanno ispirato e caratterizzato il nuovo documentario di Piero Li Donni, “La nostra strada”.

Per sintetizzare, forse basterebbero le parole che Michael Stipe cantava all’inizio di Losing My Religion: “Life is bigger. It’s bigger than you.”

Una vita che molto spesso in alcuni quartieri di Palermo appanna i sogni dei più giovani.

Fuori e dentro una classe della Zisa si mescolano le quotidiane in-certezze di Daniel, Morena, Desirée e Simone, quattro adolescenti all’ultimo anno di scuola media.

Per loro si accende una faro verso una strada che dal sogno conduce alla realtà.

Quando Marc Augé parla di “non luoghi” si riferisce a spazi che non hanno una loro anima, una riconoscibilità immediata.

Qui, invece, Piero è riuscito a intercettare un piccolo mondo a cavallo tra universale e arbitrarietà, in cui si muovono i medesimi sogni e le medesime speranze di un’intera città. Palermo.